Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti sostiene che prima di agosto saranno approvati molti nuovi decreti legge, in tema di controllo da parte del datore di lavoro. Attraverso una modifica all’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300 del 1970), concernente il controllo a distanza, i datori di lavoro saranno ancora più giustificati nell’usare la tecnologia come forma di controllo del dipendente. Si parla di controllare pc e smartphone di lavoro o personali del dipendente, oltre all’utilizzo di videocamere, gps integrato nelle cinture, microchip negli scarponi da lavoro o negli elmetti e braccialetti vibranti in stile carcerati. Inutile dire che questa appare a molti solo l’ennesima manovra per spremere ancora di più la produttività dai dipendenti.
La grande novità riguarda, appunto, la possibilità da parte del datore di lavoro di controllare sia i dispositivi forniti da lui stesso, sia quelli di proprietà del lavoratore, portanti in azienda a scopo lavorativo. Questi controlli potranno non necessitare del nullaosta dei sindacati e se il lavoratore verrà sorpreso ad utilizzare tali dispositivi per scopi non lavorativi, potrà incorrere in sanzioni. Si può ben capire, come una simile legge rasenti la violazione della privacy e crei non poche perplessità.
In dettaglio, l’utilizzo di telecamere per controllare lo svolgere del lavoro in un dato ambiente sarà ancora sottoposto a un accordo sindacale o all’autorizzazione da parte del ministero del Lavoro. Però, per quanto riguarda i dispositivi in uso del lavoratore (pc, tablet, smartphone e simili) e i badge per registrare accessi e presenze, il datore di lavoro potrà effettuare controlli senza la necessità di chiedere a terzi.
La preoccupazione per la privacy è ovvia, anche se nelle modifiche viene esplicitato che “un datore di lavoro che verrà in possesso in questo modo di dati sensibili e personali del dipendente, non potrà utilizzare il contenuto della comunicazione personale a fini disciplinari“. In pratica e ad esempio, un datore potrà controllare e leggere mail personali di un dipendente, ma non potrà usare il contenuto di queste ultime per sanzionarlo. Una ben misera consolazione.
Un altro punto (un po’ più solido), che dovrebbe favorire il dipendente, è la necessità di un regolamento interno dell’azienda che preveda cosa il lavoratore può fare e non può fare e se e come sarà controllato dall’impresa.
Già il segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha dichiarato che il sindacato dei metalmeccanici è contrario a queste modifiche e sostiene la volontà di “mantenere le norme contrattuali e legislative preesistenti”. Oltre alla sua voce, anche quella dell’avvocato giuslavorista Maria Teresa Salimbeni, docente di diritto del lavoro all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, solleva alcune perplessità. In primo luogo, parla di come il controllo dei badge per l’entrata e l’uscita dal lavoro sia legittimo e giustamente ha bisogno di essere liberalizzato (tutti noi, immagino, non possiamo non pensare al caso del vigile che timbrava il cartellino in mutande, tra i numerosi statali “furbetti” di Sanremo, caso esploso alcuni mesi fa), ma allo stesso tempo ritiene che utilizzare i badge per controllare i movimenti di un dipendente all’interno dell’azienda stessa (possibilità introdotta) “ma esistono anche impianti attraverso i quali si possono monitorare gli spostamenti del lavoratore all’interno del perimetro aziendale. Questo controllo più invasivo violerebbe il diritto alla riservatezza e alla libertà del lavoratore che discende dai principi costituzionali“, dichiara la docente. La Salimbeni spiega come un eccesso di delega in questo ambito potrebbe portare a numerosi ricorsi al fine di rilevare l’incostituzionalità del provvedimento.
Un altro aspetto che la Salimbeni mette in luce riguarda il nuovo contratto a tutele crescenti (in vigore dal 7 marzo). Un datore di lavoro potrebbe licenziare un dipendente che è entrato in un social network per soli 2 minuti, ma il licenziamento sarebbe considerato illegittimo. Il datore potrebbe però limitarsi a tenere il lavoratore fuori dall’azienda, senza reintegrarlo e pagando solo un’indennità. Questo perché nel decreto del Jobs act è previsto che, in caso di licenziamento, il giudice del lavoro “non possa valutare la gravità del fatto commesso, ma debba limitarsi a verificarne la sussistenza”. Questo potrebbe portare che qualsiasi infrazione disciplinare, anche di lieve entità, può dar luogo a un licenziamento senza possibilità d’essere reintegrati.
Si parlava in precedenza di metodi di controllo eccessivi, come Fincantieri che voleva far inserire un microchip negli scarponi ed elmetti degli operai, o il progetto del braccialetto vibrante per i commessi della Obi di Piacenza, che si presupponeva dovessero accorrere in caso di chiamata da parte di un cliente o la cintura elettronica utilizzata per i dipendenti del turno di notte (il caso è di un paio d’anni fa), in un autogrill MyChef nella zona di Bologna; l’azienda ha dichiarato come questo congegno servisse a visionare la salute del dipendente e avesse anche una funzione antirapina, ma poi si è scoperto che si attivava anche con pause oltre il minuto e mezzo. Insomma, tanti sono i sistemi di controllo degli accessi, e la tecnologia continua a fornirne di nuovi, ma spesso i datori di lavoro cercano di forzare le cose, utilizzandoli per motivi che con il controllo poco c’entrano.
Il 1° aprile, il Consiglio d’Europa si è dichiarato a favore del monitoraggio del dipendente, ma se questo ha solo l’indiretta conseguenza di proteggere la produzione e non come scopo primario. Inoltre ha ripetuto l’importanza di dialogo e confronto con le organizzazioni sindacali, riguardo questi temi.
Secondo il vicepresidente dell’associazione nazionale Avvocati giuslavoristi italiani, Vincenzo Martino “La legge delega è molto generica: si tirano in ballo le attrezzature di lavoro ma non si capisce in concreto cosa si voglia dire. Troppo presto per dire quali saranno gli effettivi cambiamenti. La sensazione personale è comunque che si andrà verso forme di controllo più estese”.
Insomma, al solito le cose non sembrano chiare quanto le si vuol fare apparire, e se di certo un maggior controllo sui dipendenti (soprattutto in certi ambienti) è più che legittimo, si teme sempre che molti sfrutteranno la liberalizzazione proposta (e a quanto pare prossima a diventare legge) per torchiare ancora di più i dipendenti, che di certo non hanno bisogno di nuovi stress sul posto di lavoro.