Stando all’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori, nel 2014 solo il 41,4% degli italiani ha letto almeno un libro durante l’anno, inoltre tra il 2010 e il 2014 c’è stato un calo del 10% dei lettori (circa 2,6 milioni). Come si ripete da anni, quindi, l’Italia non brilla certo per questo aspetto della cultura, e l’editoria (che se parli di autori, editori, agenzie di servizi editoriali, agenzie letterarie e tutti gli altri lavoratori del settore) ne risente senza dubbio.
Alle domande di rito “Si può vivere di sola scrittura in Italia?” e “Pubblicare basta a guadagnare in modo sufficiente per vivere?” ecco come risponde Marco Marzullo, che ha all’attivo due romanzi pubblicati da Einaudi: “All’attuale la mia esperienza è positiva e sì le pubblicazioni possono essere sufficienti per vivere ma dipende dalle esigenze.” Vive in casa con due amici e limita le spese, comprando pochi vestiti e spendendo poco per uscire. Si occupa di altre attività legate alla scrittura, ad esempio collaborazioni con testate sportive, cosa che lo aiuta ad avere un rafforzo alle sue entrate. Marsullo sostiene che è importante usare la scrittura in modo eterogeneo, diversificando e cercando di operare in vari settori, ammettendo che certo si tratta di un lavoro precario, ma quale lavoro non lo è… soprattutto al giorno d’oggi?
Ma uno scrittore di narrativa può avere altre attività collaterali che non comprendano per forza il solo giornalismo, ma potrebbe interessarsi anche a campi limitrofi e ancor più diversi come radio e cinema. Federica Manzon, autrice per Mondadori, afferma che: “Si riesce a vivere di scrittura per i giornali, il cinema e la televisione”. In fondo ci sono molti casi di scrittori famosi che si sostentavano anche grazie a lavori collaterali, come il giornalista per Capote, lo sceneggiatore per Fante, l’occupazione in banca di Svevo (che gli procurava però diverse nevrosi) e il lavoro da impiegato di Eliot. Ognuno potrebbe trovare una sua dimensione, anche se è evidente che molti scrittori italiani sognino il mondo americano di cattedre universitarie, di creative writing e fellowship ben pagate.
Per chi voglia rimanere nell’ambito dell’editoria, ci sono diversi lavori dall’editor, al correttore di bozze, fino al traduttore o l’organizzatore di eventi culturali. Carlo Martigli ha pubblicato con Longanesi, Castelvecchi e Mondadori e, pur appartenendo a quei fortunati che riescono a vivere di sola scrittura è un po’ più realista nell’affermare: “Solo dove si legge, chi scrive può permettersi di farlo in esclusiva maniera professionale, ma in Italia non è così, in Italia i dati di lettura dicono che non c’è un popolo di lettori.” Secondo questo autore bisogna avere Cuore, Cervello, Costanza e Competenza (e una quinta C la lascia all’immaginazione del lettore) per riuscire. Ma sostiene anche che non si “fa” lo scrittore ma lo si “è”, intraprendendo questa strada a prescindere da tutto, solo che a volte bisogna fare i conti con attività secondarie che servono a… pagare le bollette.
Insomma, essere uno scrittore in Italia è possibile, anche se non facile, e di certo è probabile dover scendere a compromessi perché è molto difficile vivere di sola scrittura. La possibilità migliore per uno scrittore (o un aspirante tale) è trovare un’occupazione collaterale nella cultura o nell’editoria che permetta di mescolare la passione al lavoro più prosaico, che magari servirà a mantenersi. Ogni autore dovrebbe poter trovare la propria ricetta professionale, che gli permetta di vivere e scrivere allo stesso tempo.