Essere una madre che lavora non è sempre facile, ma ci sono diverse opzioni di permessi e congedi che possono essere molto utili.
Esistono diverse tipologie di permessi per le madri lavoratrici e le leggi in merito sono in costante evoluzione. Ad esempio, la legge di Bilancio 2023 ha introdotto una nuova forma di tutela per le madri lavoratrici, che prevede un mese di congedo aggiuntivo retribuito quasi alla stessa quota dell’ultima retribuzione percepita.
Molto spesso, i permessi per le mamme che lavorano sono retribuiti, anche se ci sono alcune eccezioni. Tuttavia, consentono sempre di mantenere il posto di lavoro, che è un aspetto molto importante. In realtà, i primi permessi vengono riconosciuti già durante la gravidanza. A partire dall’ottavo mese di gravidanza, che corrisponde a due mesi prima della presunta data del parto, è previsto un periodo obbligatorio di astensione dal lavoro di cinque mesi: due mesi prima e tre mesi dopo il parto. Tuttavia, se lo desidera, la lavoratrice può posticipare l’inizio del congedo di maternità a dopo il parto, previa autorizzazione del medico incaricato. In questo caso, il medico dovrà accertare che la salute della madre e del bambino non sia compromessa dalla prosecuzione dell’attività lavorativa.
Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto all’80% dell’ultima retribuzione percepita. Tuttavia, in alcuni casi, il datore di lavoro è tenuto ad integrare la retribuzione erogata dall’INPS, in modo che la lavoratrice riceva la retribuzione completa durante il periodo di maternità.
Qualora l’Ispettorato territoriale del lavoro giudichi l’attività lavorativa incompatibile con la gravidanza o se la gravidanza rappresenti un rischio per la salute indipendentemente dall’impiego, il congedo di maternità può essere anticipato, e si parla di astensione anticipata per gravidanza a rischio. La durata di tale congedo dipende dalle circostanze che ne hanno motivato la richiesta.
Per quanto riguarda la retribuzione, si applica la stessa regola del congedo di maternità: l’80% della retribuzione, con la possibilità per il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di prevedere un’ulteriore integrazione a carico del datore di lavoro. Dopo il congedo di maternità, la lavoratrice ha a disposizione altri permessi per dedicarsi alla cura del figlio, tra cui il congedo parentale. La madre può usufruire di tale permesso per un massimo di 6 mesi, ma considerando anche il periodo usufruito dal padre, il limite complessivo è di 10 mesi (che diventano 11 se il padre usufruisce di almeno 3 mesi di permesso). Se la madre lavoratrice è un “genitore solo”, ha diritto a 11 mesi di congedo.
Il congedo parentale può essere utilizzato fino ai 12 anni del figlio e viene retribuito al 30% per un massimo di 6 mesi a genitore (per un limite complessivo di 9 mesi).
Inoltre, la legge di Bilancio 2023 ha introdotto un nuovo limite: in alternativa al padre e alla madre, è possibile usufruire di un mese aggiuntivo di congedo parentale retribuito all’80%.
Se il territorio del lavoro o la ASL rilevano un’incompatibilità tra la gravidanza e il lavoro svolto, il congedo di maternità può essere anticipato con l’astensione anticipata per gravidanza a rischio, che dura fino alla fine della situazione che l’ha motivata. Durante il congedo di maternità, la lavoratrice riceve l’80% della retribuzione, che può essere integrata dal datore di lavoro in base al Ccnl.
Dopo il congedo di maternità, la lavoratrice può usufruire di altri permessi per la cura del figlio, come il congedo parentale fino a un massimo di 6 mesi (o 11 mesi se è un genitore solo) e il permesso per allattamento nel primo anno di vita del figlio (o 3 anni se il figlio ha un handicap). Il permesso per allattamento non influisce sullo stipendio e viene retribuito al 100%.
In caso di malattia del figlio, la lavoratrice può usufruire di permessi supplementari, che variano a seconda dell’età del figlio e della categoria di dipendente. In particolare, fino ai 3 anni del figlio, i genitori possono assentarsi dal lavoro per tutto il periodo della malattia del figlio, mentre sopra i 3 anni ma fino agli 8 anni, spettano un massimo di 5 giorni l’anno di permesso. In caso di disabilità grave del figlio, la lavoratrice ha diritto a permessi supplementari riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992 e al congedo straordinario della durata massima di 2 anni, che è interamente retribuito. Il congedo straordinario si applica sia nei confronti del familiare disabile assistito che al lavoratore e non può superare i 2 anni complessivi, anche se richiesto sia dal padre che dalla madre in periodi non coincidenti.