Dimettersi dal lavoro può precludere la possibilità di richiedere la Naspi, l’indennità di disoccupazione a cui ha diritto chi ha perso involontariamente il lavoro. Questo perché, per ottenere la disoccupazione, uno dei requisiti fondamentali è che il rapporto di lavoro sia stato perso in modo involontario, ovvero senza alcuna intenzione specifica. Pertanto, generalmente la Naspi non è concessa in caso di dimissioni, poiché queste rappresentano un’azione unilaterale del dipendente che interrompe ogni vincolo contrattuale con il datore di lavoro.
Il legislatore ha voluto impedire che la possibilità di ottenere la Naspi potesse diventare un incentivo per i dipendenti a dimettersi dal lavoro dopo aver maturato l’indennità di disoccupazione per un certo periodo di tempo (pari alla metà delle settimane contributive accumulabili negli ultimi 4 anni). Pertanto, l’accesso alla Naspi è stato precluso per i dipendenti che si dimettono, così come sono state imposte limitazioni anche per il Reddito di cittadinanza.
Tuttavia, ci sono alcuni casi in cui le dimissioni possono essere considerate involontarie e non precludono il diritto alla Naspi. Un esempio è quando il datore di lavoro commette una grave violazione del contratto, come il mancato pagamento degli stipendi in modo ripetuto. Se tale comportamento è la causa delle dimissioni del dipendente, ovvero sussiste la giusta causa, allora il diritto alla Naspi non viene perso.
Inoltre, la giusta causa non è l’unica situazione in cui è possibile richiedere la Naspi dopo le dimissioni. Esistono altre tre situazioni, di cui approfondiremo i dettagli.
Al giorno d’oggi, le dimissioni per giusta causa non precludono il diritto alla Naspi. Tuttavia, per molto tempo c’è stato un dibattito sul fatto che le dimissioni, anche se giustificate, fossero comunque volontarie e quindi escludessero la possibilità di ricevere l’indennità di disoccupazione.
Tuttavia, è importante considerare che senza il comportamento lesivo del datore di lavoro, il dipendente non ha alcun motivo per dimettersi in anticipo, il che rende la richiesta della Naspi una tutela piuttosto che un incentivo.
L’Inps ha esplicitamente espresso questo principio nella circolare 163 del 20 ottobre 2003, in cui si afferma che “qualora le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore ma siano indotte da comportamenti altrui che implicano la condizione d’improseguibilità del rapporto di lavoro”, il dipendente ha comunque diritto all’indennità di disoccupazione.
È importante sottolineare che, in generale, l’accesso alla Naspi non è garantito automaticamente dopo la perdita del lavoro, ma è subordinato al verificarsi di specifici requisiti. Tra questi, ad esempio, vi è l’obbligo di aver lavorato almeno 13 settimane negli ultimi 4 anni (anche non consecutivi) e di essere in possesso di un determinato numero di contributi.
Inoltre, la Naspi ha una durata massima di percezione di 24 mesi, durante i quali il lavoratore deve attivarsi per la ricerca di un nuovo impiego, partecipando ad eventuali percorsi di formazione e accettando offerte di lavoro congrue con il proprio profilo professionale.
Infine, è importante tenere presente che, se si percepisce la Naspi, ci sono alcune limitazioni alla possibilità di effettuare lavori a tempo determinato o di partecipare a percorsi di formazione retribuiti, in quanto questi potrebbero incidere sul diritto all’indennità di disoccupazione.
Ci sono anche 2 casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dove spetta l’indennità di disoccupazione, sempre che si rispettino le procedure previste dalla normativa.
Nel primo caso, la procedura di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro deve essere seguita scrupolosamente e l’accordo raggiunto tra le parti deve essere registrato presso il Ministero del lavoro. In questo modo, il lavoratore potrà presentare la domanda di Naspi e ottenere l’indennità di disoccupazione.
Nel secondo caso, invece, il rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso un’altra sede dell’azienda deve essere motivato da ragioni di natura familiare o di altra natura legittima e documentabile. Inoltre, l’azienda deve comunicare al lavoratore la proposta di trasferimento almeno 60 giorni prima della data prevista per il trasferimento. In questo caso, il lavoratore potrà dimettersi e richiedere la Naspi, senza perdere il diritto all’indennità di disoccupazione.
Le dimissioni durante il periodo di prova non danno diritto alla Naspi in quanto considerate dimissioni volontarie. Tuttavia il lavoratore non è tenuto a rispettare il periodo di preavviso e non deve segnalare tali dimissioni ai fini del reddito di cittadinanza. È importante che il lavoratore sia consapevole di questa particolarità in modo da prendere la decisione più opportuna per la propria situazione lavorativa.