Dal 2007, l’anno in cui è iniziata la crisi economica mondiale, questa ha continuato a impoverire il mondo del lavoro in un modo o nell’altro, primo tra i quali attraverso la dilagante disoccupazione che non accenna a diminuire, tanto tra i giovani quanto tra i meno giovani (molto colpiti sono anche gli ultracinquantenni). Questo aspetto ha un forte effetto sociale, creando una crisi anche in quell’aspetto delle nostre vite.
Dal 2014, l’occupazione sembra aver avuto un piccolo rialzo, ma tenendo in considerazione che molti lavori non sono certo solidi e non danno garanzie per il futuro, per non parlare delle paghe inadeguate e senza contare che una disoccupazione prolungata (di 12 mesi o superiore) crea un ostacolo sempre più grande al reinserimento nel mondo del lavoro. Questa piccola crescita nell’occupazione quindi non è stata sufficiente ad arginare la dilagante povertà, che colpisce sempre più famiglie. Abbiamo quindi avuto un veloce peggioramento delle condizioni di vita a fronte di un recupero lento.
Attualmente il numero delle famiglie in povertà assoluta è allarmante: ha raggiunto la cifra di 1.582.000, per un numero di persone comprensive di 4.598.000 circa. Questo stato di povertà deriva in buona parte dalla mancanza di lavoro, infatti le famiglie più in difficoltà sono quelle in cui il capo famiglia è disoccupato. Un altro aspetto messo in chiaro da questa situazione è come il lavoro di una sola persona non sia più sufficiente a garantire la salvezza dalla povertà. Insomma il modello in cui il maschio a capo della famiglia porta “il pane” mentre la donna si occupa della casa, ancora diffuso al Sud e in tutta Italia nelle famiglie di immigrati, sta fallendo, portando alla povertà molte famiglie, soprattutto quelle operaie.
La percentuale di famiglie in condizione di povertà assoluta, con a capo un operaio (o un assimilato) è salita dall’1,7% nel 2007 all’11,7% nel 2015. Eppure, stando a un sondaggio fatto dalla Banca d’Italia quasi la metà delle famiglie operaie (il 45,9%) segue ancora questo modello, con metà di queste che non hanno un’abitazione di proprietà. Anche i lavoratori in proprio hanno subito un simile colpo, ma in maniera più lieve (il 5,5% di loro si trova in condizioni di povertà assoluta).
Avere un solo lavoratore in famiglia non è più un’ancora per la sicurezza economica. Non ci resta quindi che sperare in una politica mirata per aiutare quelle persone in difficoltà e in un attenuarsi della diseguaglianza economica tra i vari ceti, prima che questa situazioni metta radici così profonde da diventare una realtà consolidata.