L’Università Bocconi di Milano ha realizzato uno studio, dal titolo Employment, Skills and Productivity in Italy (all’interno del progetto New Skill at Work), al fine di valutare le possibilità di impiego nel mondo del lavoro in Italia in base a fattori come l’età, l’istruzione e le competenze. I dati raccolti hanno mostrato come ci siano fortissime disparità in base all’area geografica da cui si proviene, al genere, all’età e al titolo di studio del candidato.
Essere maschi, residenti in Nord Italia, tra i 40 e i 44 anni e laureati pare essere la condizione migliore, visto che è il profilo con ben il 50,3% in più di possibilità di trovare un impiego rispetto a quello più discriminato, ovvero donna, residente in Sud Italia, tra i 20 e 24 anni, con un titolo di licenza media o inferiore.
Nel complesso i giovani (tra i 15 e i 24 anni) sembrano avere più difficoltà a trovare un impiego; solo il 6,5% sta lavorando. La necessità di politiche per il lavoro rivolte ai giovani è evidente da un dato che non può non far riflettere: tra il 2007 e il 2015 la differenza tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello degli aduli è più che raddoppiata, passando dal 14% al 31%.
Un dato importante mostra come spesso non sia la mancanza di titoli di studio ad impedire di trovare un lavoro, quanto il fatto che ci sia proprio una asimmetria tra ciò che si impara a scuola e quello che il mondo del lavoro richiede. Per assurdo, il numero di lavoratori che sta svolgendo un impiego non è in linea con il percorso di studi fatto è molto alto, ma se si prendono in esame le competenze, allora sia i “sovraqualificati” che i “sottoqualificati” sono entrambi nella posizione che dovrebbero coprire (con una percentuale vicina all’80% in entrambi i casi).
Le persone che si ritrovano a coprire posizione per cui sono “troppo competenti” rimangono comunque molte, soprattutto tra i laureati (circa il 20%) e in particolare per quelli che hanno conseguito lauree in percorsi scientifici (il 30%). Questo perché l’Italia è ancora dominata da una piccola media impresa troppo tradizionalista, che non permette l’utilizzo di tutte le competenze apprese né tanto meno il mantenimento delle stesse durante lo svolgimento del lavoro.
A conti fatti, quindi, l’Italia appare ancora troppo un “paese per vecchi”, in cui non viene dato il giusto peso alle moderne conoscenze, che i giovani spesso si ritrovano ad aver imparato senza poi riuscire a sfruttare nel mondo del lavoro.