In Umbria la crisi del lavoro sembra ancora molto forte, stando ai dati raccolti dall’Osservatorio nazionale sul precariato dell’INPS. Si parla del 45% in meno di assunzioni a tempo indeterminato nei primi 6 mesi del 2016, se confrontati con lo stesso periodo del 2015, mentre sale in maniera preoccupante l’utilizzo dei voucher come metodo di pagamento; ben il 71% in più rispetto al 2014.
Questa forma di retribuzione sempre più diffusa (si stima che saranno ben oltre le 20.000 le persone pagate in questo modo entro fine anno) rientra a tutti gli effetti nella definizione di “lavoro povero”, non avendo tutele di sorta a livello previdenziale e neppure alcun sostegno al reddito. Un altro dato preoccupante è l’età dei retribuiti in voucher, la cui media si attestava ai 60 anni nel 2008 mentre oggi è scesa drasticamente arrivando ai 37 anni. In questa tipologia di lavoro poco redditizio e, inutile dirlo, precario, sembrano coinvolte sempre più le donne rispetto agli uomini.
Il numero di assunzioni raggiunge quota 29.744, durante i primi sei mesi del 2016, ma sono quasi altrettante (circa 24.000) le cessazioni di contratti lavorativi. Se a questi dati, sempre raccolti dall’INPS, si aggiungono il lavoro in nero e i 20.000 retribuiti in voucher, si può ben capire che il Jobs Act non abbia certo avuto un riscontro positivo in Umbria. Questa regione sembra tra le più colpite dalla crisi, con cifre superiori alla media nazionale nel calo delle assunzioni (12,2% rispetto a 8,9%) e un maggior numero di cessazioni (11,3% contro l’8,3%); cifre comunque non positive.
Pare sempre più evidente la necessità di manovre concrete sul lavoro, sia per rilanciare la politica economica, sia per abolire i voucher, che sono a tutti gli effetti una forma svilente di pagamento e non sufficiente. In questa ottica si colloca il referendum indetto dalla Cgil per la primavera del 2017; referendum che ha già raccolto oltre 1 milione di adesioni.