Questi, giorni, in particolare a causa dell’improbabile quanto fallimentare campagna promossa dal Ministero della Salute per il Fertility Day, si è tornato a parlare molto di donna, lavoro e maternità. Per far capire la situazione italiana riguardante questa questione, basta leggere i dati relativi.
Innanzitutto è vero che l’Italia, nel 2015, ha toccato il minimo storico in fatto di nascite: circa 488.000, che sono 15.000 in meno del 2014. Inoltre l’età media per concepire si sposta sempre un po’ più in avanti, tanto che l’Italia si classifica al primo posto in Europa, per avere le mamme più vecchie.
Questo perché sono sempre più impegnate con il lavoro? No. Infatti, l’Italia è il terz’ultimo paese in Europa per numero di donne occupate, con l’occupazione femminile che raggiunge il 57% delle donne tra i 25 e i 54 anni, con una media figli di 1,3. Peggio di noi, solo Grecia e Macedonia. A livello complessivo, più di 5 donne su 10 sono prive di reddito derivante da lavoro. E quando il lavoro lo hanno e viene retribuito, la media di guadagno si attesta sui 25.000 euro annui, contro quella maschile che si aggira sui 31.000 euro. Insomma, ancora oggi, gli uomini vengono pagati di più, spesso per lo stesso tipo di lavoro.
Inutile dire, quindi, che il problema figli è spesso legato alla possibilità di mantenerli e di assicurargli un certo benessere economico. Basta pensare che in Svezia, la percentuale delle donne lavoratrici è del l’83% con una media figli che arriva a 1,9, grazie allo stipendio in più percepito, ma non solo. In molti paesi esiste un sistema di welfare che aiuta ad accordare i tempi lavorativi con quelli della famiglia, magari anche grazie a sovvenzioni (come maternità e paternità pagate).
In Italia solo l’1% del Pil viene investito a favore della famiglia (in contrasto con il 20% speso per gli over 65), un livello di spesa che ci fa essere al 22° posto tra i paesi europei per investimenti pubblici a questo dedicati. Mentre la spesa europea per la famiglia ha una media del 1,7% e per gli over sessanta del 15,1% del Pil. Se a questo aggiungiamo, che a ben un’italiana su due l’arrivo di un figlio costa il posto di lavoro (licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere), si può ben capire il malcontento generato da una campagna sulla fertilità e soprattutto quanto il nostro paese sia ancora indietro nel garantire i giusti diritti alle donne. Quando lo stato è il primo a non sostenere o supportare l’arrivo di un figlio in una famiglia, con che diritto chiede alle donne di diventare madri?