Tra le molteplici novità che il Governo Renzi ha introdotto nel mondo del lavoro, tra Jobs Act e manovre mirate al cambiamento delle regole fiscali, troviamo anche il tanto discusso è il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) in busta paga. Ma come funziona di preciso? è valido per tutti? è conveniente?
La liquidazione (nome che si dà in gergo comune al TFR) è quella somma di denaro a cui un lavoratore dipendente ha diritto alla fine di un rapporto lavorativo, dovuta dal Datore di Lavoro. Il Trattamento di fine rapporto è determinato da un importo pari e comunque non superiore alla retribuzione lorda dovuta per ogni anno di lavoro, divisa per 13,5.
Il TFR in busta paga è un provvedimento (attivo fin dal 1° Aprile 2015), stabilito per accrescere la quantità di denaro presente nella busta paga dei lavoratori. Questa possibilità rimane una scelta del lavoratore, ma non tutti vi possono accedere. Ad esempio, dipendenti statali, casalinghe e agricoltori (per cui è stabilità un’altra tipologia di trattamento) ne sono esclusi.
L’aspetto più importante da valutare, analizzando il TFR e la possibilità di riceverlo in busta paga, è la tassazione a cui questo viene sottoposto, perché c’è una sensibile variazione tra le tasse sulla busta paga e sulla liquidazione a fine rapporto lavorativo. Di media, la tassa sulla liquidazione è pari al 23% dello stipendio del lavoratore, se si decide che il TFR sia devoluto alla previdenza integrativa, la percentuale scende al 15%, con un ulteriore abbassarsi della tassazione (al 9%) si ha se si aumenta la durate del piano di risparmio.
Per quanto riguarda la tassazione calcolata sulla busta paga, la cifra è ben diversa, perché l’incremento dello stipendio (dato dal TFR) sarà soggetto all’Irpef e quindi alla Tassazione Ordinaria, cosa che porta la percentuale di tassazione a livelli più elevati e sfavorevoli per il lavoratore. Essendo l’Irpef una Tassa Progressiva, questa aumenta con l’aumentare dello stipendio, con la possibilità di arrivare anche fino al 43%.
Viene quindi da domandarsi, di quanto aumenterebbe davvero lo stipendio? Conviene attivare questa possibilità (nel qual caso non potrà essere revocata fino al Giugno 2018)? Ovviamente, ogni caso può essere differente e ognuno dovrebbe fare i propri calcoli.
Prendiamo un lavoratore che guadagna 1.600 euro netti mensili. Alla fine dell’anno la sua liquidazione sarebbe di circa 1.890 euro. Se attiverà il TFR in busta paga, nell’arco di tre anni avrebbe un mancato accumulo per la sua buona uscita di 5.670 euro. Cifra che potrebbe essere superiore, perché in caso di aumento dell’inflazione anche il valore del trattamento di fine rapporto aumenta. E questo è un altro aspetto importante da tenere in considerazione. In un’ipotesi di inflazione al 2%, dopo trent’anni di contributi, gli accantonamenti in busta paga saranno rivalutati di circa del doppio; quindi i 5.670 euro di cui sopra, versati in un periodo di 3 anni, varranno 13.700 euro lordi (circa 10.000 netti).
In generale, quindi, la perdita sarebbe maggiore del guadagno, anche se una maggiore disponibilità sul momento potrebbe fare gola (o essere necessaria) a molti.