Per i giovani laureati, per quanto possano essere legati alla propria terra natale, è ormai comune pensare di espatriare per trovare condizioni lavorative migliori. Purtroppo questa tendenza, che continua a rischiare di impoverire il paese, si è ben radicata, e i dati relativi ai giovani pronti a trasferirsi sono in aumento.
Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ha svolto un’indagine durante il 2017, prendendo in considerazione più di 270mila studenti (la maggior parte dei quali usciti da percorsi di lauree triennali, e in minor percentuale da magistrali biennali o da lauree a ciclo unico) provenienti da 71 diverse università italiane. Degli intervistati, ben il 49% si è detto disposto a spostarsi in un altro stato europeo, un netto aumento se si pensa che nel 2006 era solo il 38%, mentre il 35% afferma che sarebbe disponibile a trasferirsi in un altro continente. Per il 27% è accettabile l’idea di un lavoro che prevede saltuarie trasferte o che obblighi a trasferire la propria residenza. Solo il 3% ha dichiarato di non volersi trasferire.
La voglia o la disponibilità di spostarsi all’estero a volte può anche derivare dalla consapevolezza che le esperienza svolte in altri paesi possono aiutare a trovare un impiego migliore anche in Italia, al proprio rientro. Le opportunità di studio in altri paesi, in primo luogo l’Erasmus, aiutano a trovare lavoro all’estero, allo stesso modo è utile una buona conoscenza della lingua inglese, ormai requisito quasi fondamentale per qualsiasi aspettativa di lavoro o studio all’estero.
Ciononostante, ottenere una laurea torna ad essere molto utile ancora oggi per trovare lavoro (dopo una seria contrazione intervenuta tra il 2008 e il 2013): a cinque anni dalla laurea tra i laureati triennali il tasso di occupazione è pari all’87%, mentre e dell’84% tra i laureati magistrali, in genere con stipendi migliori dei loro colleghi privi di titolo.